Lorusso Editore

A breve uscirà il libro L’equilibrista – Un racconto familiare tra malattia e assistenza di Marco Leopardi, la memoria autobiografica di come sia cambiata la sua vita dopo che sua moglie, Sabrina Di Giulio, è stata colpita dalla SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). All’interno del libro sono presenti alcune lettere scritte da Sabrina, come quella che segue, introdotta dalle parole di Marco, in cui prende posizione sull’eutanasia.

Sabrina ama la vita, ha un enorme rispetto per la vita e per le sofferenze di chi deve fronteggiare malattie che qualche volta non sono più sopportabili. Per questo motivo è al fianco dell’Associazione Luca Coscioni per difendere il diritto personale di scegliere se abbandonare la vita. Sabrina è aggrappata alla vita con le unghie e non ci rinuncerebbe per nulla al mondo, ma il futuro è imperscrutabile. Considera questa battaglia dell’Associazione e gli sforzi personali di Marco Cappato irrinunciabili per la dignità delle persone. Io sono con lei e considero il suo punto di vista autorevolissimo. Chi più di lei può parlare con cognizione di causa?
Ecco le sue parole di qualche anno fa.
(Marco Leopardi)

Sabrina Di Giulio

Da quando sono nell’Associazione Coscioni, non mi sono mai voluta occupare di eutanasia perché questo argomento turba la mia sensibilità. Questo tema è come un tarlo che mi gira nella mente, ma oggi ve ne voglio parlare… parlando di vita.
La malattia ha prodotto in me una nuova consapevolezza, nel senso di riuscire a riconoscere meglio i miei desideri.
Se arriva qualcosa nella nostra vita che ci impone un limite, come quando ci rompiamo un arto, solo allora ci rendiamo conto della sua reale importanza; così mi è successo di sentire una gran fame di vita, quando è giunta la SLA a sconvolgermi l’esistenza! Dopo i primi anni di disperazione, dovuti al rapido peggioramento, è seguita fortunatamente una fase di stabilità e lì ho imparato a convivere con questa malattia che sì, è altamente invalidante, ma lascia le facoltà cognitive intatte. Voglio lanciare un messaggio molto chiaro a tutti i malati, non prendete la diagnosi come una condanna ineluttabile, ognuno di noi è un caso a sé e può avere un decorso diverso. Dipende molto dall’atteggiamento con cui riuscite ad affrontarla. Se riuscite a pensare che può essere trovata una cura da qualche parte nel mondo e lasciate uno spiraglio di speranza, il vostro stato di salute ne gioverà. Se vi rendete conto che nonostante la presenza della malattia, siete anche altro e cominciate ad alimentare quella parte vitale, sana, potrete addirittura provare felicità! Provo grande emozione quando ascolto musica e mi dimentico di tutto; il mio buon umore naturalmente si riflette su tutta la famiglia e questo è molto importante. Vale la pena di vivere momenti piacevoli anche se brevi. Mi piace andare in acqua perché lì riesco a muovermi con più libertà e, quando ci riesco, superando mille difficoltà organizzative, provo grande gioia. Così quando vedo un film o quando riesco ad andare a teatro, mi sento soddisfatta. Insomma la vita può essere vissuta dignitosamente e con soddisfazione, nonostante la malattia! È importante crearsi attività e passatempi che diano piacere e tengano alto l’umore.
Ho trascorso periodi bui quando, dopo un intervento a causa di una peritonite, ho perso completamente il controllo del corpo e lì ho toccato con mano la disperazione, non potevo fare nessun movimento né parlare, ero molto triste. In quell’occasione ho capito coloro che decidono di mollare e farla finita, anche se a me il pensiero non mi ha neppure sfiorato la mente, avendo un figlio da crescere e una famiglia da amare, motivi più che validi per continuare a vivere.
Ho molto rispetto per chi decide di ricorrere alla dolce morte, perché ritiene che la vita non abbia più motivi per essere vissuta oppure per sfuggire ad atroci sofferenze.
Inorridisco e mi angoscio, se penso che in futuro le mie condizioni fisiche potrebbero peggiorare, fino ad aver bisogno della tracheotomia! Eppure sono sicura che accetterei anche quella sfida pur di vivere. Ma se un giorno non potessi più sopportare quella vita artificiale, se diventasse un’umiliazione al mio modo di intendere la vita? Non so se troverei mai il coraggio di porre fine alla mia vita, ma VORREI AVERE LA LIBERTÀ DI FARLO, se fossi disperata!
Non posso tollerare che delle norme regolino un ambito così intimo e personale! È inammissibile che un divieto imposto dall’esterno, mi obblighi a resistere a una sofferenza inaudita. Chi si può arrogare il diritto di costringermi a sopportare tutto questo, se mai decidessi che quella non è più la vita che voglio vivere? Fin dove un individuo si può spingere per rimanere in vita? Fin dove è libero di rifiutare quei trattamenti che, pur scelti, sono divenuti insostenibili? E fin dove può disporre della sua esistenza? Secondo me il livello di sopportazione è diverso per ogni persona e per questo ognuno deve poter decidere liberamente, è una questione di rispetto della libertà personale.
È doveroso che il Parlamento dia risposte a quesiti come questi, con una degna legge che regolamenti il fine vita, per uscire dalla clandestinità, rispondendo così alle numerose richieste di eutanasia pervenute in Associazione.
È tempo di restituire libertà all’individuo.

Sabrina Di Giulio

Eutanasia: libertà di scelta