di Luigi Lorusso
Liberi sulla Carta per noi non è una fiera come altre. Tanto più quest’anno, perché arriva alla decima edizione, e perché si trasforma.
Facciamo un passo indietro: cos’è Liberi sulla Carta? Il sottotitolo parla chiaro: fiera dell’editoria indipendente. Oddio, chiaro nemmeno tanto, dato che una definizione di “indipendente” non è che sia così facile da trovare. Se poi ci aggiungi il claim simil-complottista “uno spazio per l’editoria che non ti fanno conoscere” (Chi? I poteri forti, la Cia, la lobby delle cartolibrerie?) rimani un po’ confuso.
Partiamo dai dati oggettivi. Liberi sulla Carta (LSC) è una fiera che nasce nel 2009 in Sabina, parte della regione Lazio che coincide grosso modo con la provincia di Rieti. La prima edizione si tenne a Poggio Mirteto, tranquillo paese conosciuto principalmente per il Carnevalone Liberato (strano fenomeno per cui il borgo ricorda la propria rivendicazione di indipendenza dal potere papale di Roma e in tale occasione viene invaso da orde di fricchettoni romani). Dalla seconda edizione fino alla nona, quella dello scorso anno, la fiera si è tenuta a Farfa, frazione del comune di Fara Sabina conosciuta per l’abbazia. In questa edizione LSC si terrà a Rieti, da venerdì 14 a domenica 16 settembre. Rieti non è propriamente una metropoli, ma dopo nove anni passati sulle due strade e il pratone di Farfa, dà l’idea di sbarcare in città.
Siamo all’edizione X. La decima, che vuol dire aprire tutta una scatola di ricordi, ed è il motivo per cui Liberi sulla Carta per Lorusso non è una fiera come altre. Abbiamo partecipato a tutte le dieci edizioni, dalla prima in cui portammo le copie dei primi tre numeri di Laspro, a quella dello scorso anno in cui abbiamo condiviso lo stand con le altre case editrici di Indie – Editori Indipendenti.
Ci chiesero loro di partecipare, Fabrizio, Emanuele e Andrea che una sera chissà come si trovavano in un locale in cui facevamo un reading di Laspro (io mi facevo la barba con tanto di specchio e bacinella durante la lettura di un pezzo, non mi ricordo perché). A Poggio Mirteto iniziammo a conoscere il mondo delle case editrici, che uno se lo immagina con la sede dentro un palazzo con il portiere e gli uffici con le sedie girevoli e invece molto più spesso è in una stanza dentro casa oppure in uno studio in affitto diviso a mezzi con un commercialista. Case editrici di tutti i tipi, quella che pubblica episodi dimenticati di storia locale, con le copertine tutte diverse e l’impaginazione fatta con Word, gli appassionati di horror con i loro allestimenti gotici e medievali, la casa editrice militante e barricadera, quelle per bambini coloratissime, quelle coi libri strani, i libri che diventano teatrini, il libro-giostra, il libro-coperta, il libro-formina per biscotti, gli appassionati di storie che vorrebbero raccontarti tutto il libro prima ancora che tu lo compri, gli editori entusiasti e quelli disincantati, chi ha trovato il piano per assaltare Amazon e chi si accontenta di vendere i libri sufficienti a ripagarsi lo stand.
A organizzare la fiera è un gruppo di volontari: al gruppo dei fondatori si sono via via avvicinati altri ragazzi e ragazze che hanno garantito il ricambio generazionale. Ciò che non è mai cambiato è stato l’entusiasmo di chi si mette a disposizione per costruire qualcosa di bello. La provincia italiana, con le sue bellezze inimmaginabili, può essere un territorio realmente alienante e frustrante per chi lo subisce: solo chi si attiva in prima persona riesce a crearsi stimoli e interessi. In questo caso, allo sforzo dei volontari si è affiancato l’aiuto di istituzioni e amministratori locali, cosa non affatto scontata.
Per noi, dicevamo, Liberi sulla Carta non è una fiera come tutte le altre: andare lì significa fare i conti con quello che abbiamo fatto in questi anni, considerare quello che si è costruito e quello che avremmo potuto fare meglio, ma soprattutto ritrovare, nella passione di chi costruisce questo appuntamento e di chi ci ritorna ogni anno, delle ragioni per credere che nonostante tutto, continui a valerne la pena.